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SANREMO

Promossi e bocciati

Sanremo 2021, le pagelle della quarta serata

Da Colapesce/Dimartino a Random, noi li abbiamo sentiti così

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di Sandro Calice
I voti alle 30 esibizioni della penultima serata del Festival: le 4 della finale delle Nuove Proposte (vinta da Gaudiano) e le 26 dei Big.

GAUDIANO. Sonorità vagamente latine, grande voce, metrica incalzante, vince con merito (anche se di poco) tra le Nuove Proposte. Poi dedica la vittoria al padre che non c’è più e il premio diventa, senza più alcun dubbio, suo (7,5).
 
DAVIDE SHORTY. Voce da virtuoso, pezzo di genesi soul, difficile da canticchiare e con una spruzzata di rap. Vince il premio Lucio Dalla della sala stampa radio tv. Non finisce qui (7+).
 
FOLCAST. Si intravede un gospel alle origini della canzone, lui la interpreta benissimo, anche se ‘decolla’ un po’ in ritardo (7).
 
WRONGONYOU. Ballata pop, con retrogusto arrabbiato. Si farà sentire. Intanto lui si porta a casa il Premio della Critica Mia Martini della sala stampa (7).
 
I Big
 
AIELLO. L’alfiere di “sesso ibuprofene” continua a cantare sopra le righe, inutilmente (5).
 
MANESKIN. Signori, il rock. Tra ritmi melliflui, rap tanto per, ballate dolciastre e finti incazzati, arrivano loro a scuoterti la sedia. Belli e superbi quanto basta (8,5).
 
NOEMI. La canzone continua a essere fiacca e scontata, lei avrebbe meritato di meglio. Però, talento e voce da vendere. E col “parla parla parla” del ritornello tiene a galla tutto (7).
 
ORIETTA BERTI. Orietta fa Orietta e non potrebbe essere altrimenti. Non sono pochi quelli a cui piacerà questa canzone (anzi!), noi confermiamo il voto alla voce che regge all’incalzare degli anni e alla capacità di (ri)mettersi in gioco (6).
 
COLAPESCE/DIMARTINO. Quando parte l’orchestra col fischio già ti predisponi bene, poi cominciano a cantare ed è difficile non dondolare, divertìti, la testa e battere il piedino. Un invito a difendersi dai buchi neri della vita con leggerezza. Quella di calviniana memoria, però (9).
 
MAX GAZZE’. Siamo all’autocitazionismo raffinato  e intelligente: questa è una classica canzone alla Gazzè, ormai quasi un genere. Magari, però, non una delle sue migliori (6,5).
 
WILLIE PEYOTE. A noi continua a venire in mente la mitica “Quelli che benpensano” di Frankie hi nrg mc, cioè la canzone rap prestata alla ‘denuncia’ delle ipocrisie, ovviamente rapportata ai tempi. Sia come sia, è un gran pezzo e come previsto “mai dire mai” è già tormentone (8).
 
MALIKA AYANE. A Malika che vuoi dire: classe e voce insindacabili. Ma questa canzone rischia di essere perfetta per un un gingle pubblicitario (6).
 
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA. Di rosso vestita, un’onda di energia che travolge. Grande voce Veronica Lucchesi, domina il palco e anche quell’accenno di occhiaie è perfetto per il personaggio (7,5).
 
MADAME. Unico caso di autotune che ‘ci azzecca’. La ragazza prodigio della trap a 19 anni ha già il suo inconfondibile stile, ma questa canzone non ci cattura (6).
 
ARISA. Un peccato che la sua superba voce sia stata imprestata a questa cantilena di Gigi D’Alessio, con inutili acuti e uguale a cento altre (5,5).
 
COMA_COSE. Tutti in rosso come La Rappresentante, ma qui il colore comunica calore più che energia. In una canzone pop da manuale cantano l’amore delle piccole cose e si vogliono bene veramente. E tanto basta (6,5).
 
FASMA. La trap prestata alla canzone d’amore. Un attimo dopo l’hai dimenticata. Anche se avrà il suo ‘mercato’ (5,5).
 
LO STATO SOCIALE. Che sia pop da combattimento o post punk, gli statosociale ci fanno divertire e sorridere, spesso amaramente (7).
 
FRANCESCA MICHIELIN E FEDEZ. “Le promesse sono mille”, cantano i due, come le canzoni di questo genere. Teneri loro, lei ci mette la voce, lui anche l’autotune, come si dice: senza infamia e senza lode (6).
 
IRAMA. Volenti o nolenti, questo è il pezzo più dance e ballereccio di tutto il Festival. Ed è un complimento (7).
 
EXTRALISCIO. Nonostante l’intelligente contaminazione, questo liscio gitano continua a promettere più di quello che mantiene (6,5).
 
GHEMON. Insieme a quella di Shorty è la canzone più vocalmente complessa tra quelle in gara. Nonostante la buona qualità, chissà, forse paga pegno proprio alla ‘canticchiabilità’ (7).
 
RENGA. Il Renga targato Dardust non convince. Con quella voce, avrà modo di rifarsi (5,5).
 
GIO EVAN. Gli ascolti successivi confermano la prima impressione: Gio è un personaggio interessante, la sua canzone no (5,5).
 
ERMAL META. Non esiste la canzone perfetta, nemmeno questa lo è. Ma qui brilla più di quasi tutte le altre. Forse anche perché una volta c’era il Festival con le canzoni ‘a la’ Sanremo e poche eccezioni, oggi (e in questa edizione del Festival in particolare) sempre più indie e meno major. E allora su questo palco, una canzone d’amore classica rifinita dalla raffinatezza dell’autore, diventa improvvisamente ‘perfetta’ (8,5).
 
BUGO. Sostenuto da un arrangiamento sapiente e da una sezione fiati potente, esibisce il suo essere anti-glamour, anche nella voce. Alla fine, è la sua forza (6).
 
FULMINACCI. Si prende la casella del giovane cantautore romano tutta chitarra acustica, con merito (6).
 
GAIA. La sensazione è che potrebbe fare e che dovrebbe osare di più di questa canzoncina con echi latini (o indiani?). Ma per ora, quanto visto non basta (5,5).
 
RANDOM. Quasi ‘vittima sacrificale’ di questo Festival dal primo momento. Lo salva la sua simpatia, perché voce e presenza scenica non sono pervenute (5).